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Bharadvaja è uno dei più grandi saggi della tradizione, uno dei sette ṛṣi dell’India, e protagonista di tantissime tradizioni, storie e leggende.
Lo troviamo ad esempio citato nel poema Mahabharata come padre di Droṇa, il maestro militare dei Kaurava e dei Pandava che si affrontarono in quello scontro epico; nel Ramayana lo vediamo incontrare e accogliere nel suo ashram il re Rama, in esilio nella foresta di Dandaka.
Un’altra leggenda lo vede protagonista assieme a Shiva, e descrive il suo cammino per diventare il saggio che la tradizione ricorda.
Prima di essere maestro, Bharadvaja era infatti uno studente. E non uno qualunque. Era uno dei più diligenti ed ambiziosi studiosi dei Veda, desideroso di apprendere tutta la straordinaria sapienza dei testi sacri, di raggiungere l’illuminazione.
Con la sua devozione e capacità, dedicò la sua intera vita allo studio, consacrandovi tutto il suo tempo e le sue energie, in un eremo solitario.
Infine morì. E secondo la legge dell’avvicendarsi delle rinascite, venne alla luce una seconda volta.
Tornato sulla terra, sapeva perfettamente che avrebbe dovuto dedicare la sua vita a ciò che più era importante: lo studio. Così facendo, si tuffò nuovamente a capofitto sui testi sacri, con tutta la sua passione e la sua dedizione, per diventarne il massimo esperto.
E così esaurì anche la sua seconda vita sulla terra.
Tornò a nascere una terza volta, ed anche adesso sapeva qual era la sua strada: e nella sua terza vita di studio solitario divenne il massimo esperto dei Veda. Conosceva a menadito ogni lettera dell’antica sapienza. Poteva ritenersi davvero saggio e illuminato, forse ormai libero dal ciclo delle reincarnazioni.
Sul letto di morte però, alla fine della sua terza vita, giunse accanto al suo capezzale Shiva.
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Non per liberarlo dal ciclo delle rinascite, come Bharadvaja pensava, ma per rimproverarlo duramente.
“Ecco quello che hai appreso nella tua prima vita sulla terra” disse Shiva, e pose accanto al capezzale del saggio morente un pugno di terra, preso allungando il braccio, dalla base di una montagna.
“Questo, durante la tua seconda vita; questo, nella terza” continuò, deponendo altri due piccoli cumuli di terra e polvere accanto a Bharadvaja.
“Di sicuro sei diventato il maggiore esperto dei Veda, ma cosa ti ha portato tutto questo studio? Stai morendo solo, tenendo per te ciò che hai appreso. È solo condividendo la conoscenza, che la saggezza potrà prendere davvero vita e dimorare anche dentro di te“.
Shiva diede così al saggio Bharadvaja un’altra occasione per imparare la lezione, una quarta vita, alla fine della quale, se fosse stato meritevole, sarebbe stato liberato dal ciclo delle rinascite.
E Bharadvaja, nato per la quarta volta, dedicò questa volta la sua esistenza all’insegnamento. Tutti adesso conoscevano la sua saggezza, e si rivolgevano a lui confidando nella sua conoscenza, compassione, sapienza.
E quando infine si ritrovò ancora una volta in punto di morte, al suo capezzale c’erano i suoi studenti, pronti a rendere omaggio ad uno dei più grandi saggi che avesse vissuto sulla terra.
Arrivò anche Shiva, compiaciuto e ormai pronto a liberare Bharadvaja dalle reincarnazioni.
Ma quando il dio si accostò al capezzale del vecchio saggio, fu Bharadvaja, questa volta, a declinare rispettosamente l’offerta della liberazione: non avrebbe voluto altro, se non i momenti di gioia nati dalla condivisione del sapere, attraverso l’insegnamento.
La realizzazione, nella vita, della saggezza.
Shiva dunque andò via, lasciando che il vecchio sapiente si spegnesse, per nascere nuovamente, maestro di saggezza.
Da questo saggio, fra i sette ṛṣi, prende il nome la posizione yoga di bharadvajasana, una torsione che richiede un forte radicamento, ed una buona preparazione e riscaldamento nelle anche e nelle gambe, specie a causa della parte dell’asana che coinvolge direttamente gli arti inferiori.
Nella posizione yoga di bharadvajasana infatti,
Se ci accorgiamo di essere sbilanciati, di non riuscire a mantenere l’equilibrio nella seduta, o se il ginocchio della gamba sinistra, in virasana, si solleva dal pavimento, non forziamo la posizione, ma semplicemente portiamo un piccolo cuscino o una coperta sotto il gluteo destro, così da riportare allineamento nella posizione, salvaguardando il radicamento e proteggendo il corpo.
Una volta trovato il radicamento e l’equilibrio nelle gambe, possiamo portare il busto in torsione.
Restiamo in questa posizione per alcuni respiri, dopodiché la sciogliamo, per ripeterla dall’altro lato.
Cosa ci insegna la storia e la posizione yoga di Bharadvaja?
L’asana, in torsione profonda, come per molte torsioni lavora sulla purificazione, portando il corpo (così come la mente) a liberarsi dalle tossine, a ritrovare nuova leggerezza ed espansione.
Inoltre, lavorando sulla flessibilità della colonna, pure in un saldo radicamento, ci aiuta a ruotare completamente, a cambiare prospettiva. Rimanendo fermi ci muoviamo tuttavia in ogni direzione, concediamo allo sguardo, e alla mente, la possibilità di espanderci, di mettere in discussione, di proiettarci al di là delle direzioni consuete.
Spesso non ci concediamo l’opportunità di ampliare lo sguardo, di cercare il nostro scopo più vero, dedicando invece tantissime energie a perseguire obiettivi che in realtà non ci rendono completamente felici.
Come Bharadvaja, in torsione impariamo a voltarci, liberarci delle nostre false convinzioni, per ampliare lo sguardo a qualcosa che sorprendentemente si rivela ciò che davvero ci dà gioia, realizza il nostro scopo e lo fa vivere, nella condivisione.