YAMA

Cosa sono gli yama, primi principi etici dello yoga

Radici albero principi dello yoga

Fonte immagine: Pixabay.com

 

Krishna, ad Arjuna: “Non portando odio a essere alcuno; amichevole e compassionevole, distaccato dal mio e dall’io, uguale nel dolore e nel piacere, paziente, sempre soddisfatto, lo yogin padrone di sé la cui risoluzione è salda, la mente e il giudizio fissati su di me, quegli, mio devoto adoratore, mi è caro”

-Bhagavadgītā XII, 13-14-

Nel secondo capitolo degli Yoga Sutra, intitolato Sādhana Pada, Patanjali tratta della pratica dello yoga, dedicando ampio spazio ai principi su cui si fonda la disciplina.

Qui sono descritte le otto componenti dello yoga (aṣṭānga), attraverso cui il praticante può intraprendere il suo percorso e giungere allo stato di unione che è lo yoga. Primi fra tutti, prima ancora delle posizioni, gli asana, Patanjali pone dieci principi: yama e niyama.

 

Yama: cosa significa?

Il termine yama, derivato dal verbo sanscrito yam (controllare, tenere) significa proprio “dovere morale, regola”. È il primo degli 8 rami dello yoga, propedeutico rispetto a tutto il resto.

Non si può pensare infatti di incamminarsi lungo il sentiero dello yoga senza sperimentare e fare propri, nella pratica come nella vita, questi principi morali.

Principi di etica “universale”, trasversali a qualsiasi età, etnia, condizione sociale.

 

Ma quali sono i 5 yama?

Nel Sutra II, 30, Patanjali elenca i 5 yama, cui in seguito dedica un maggiore dettaglio: “Yama è l’astenersi dal danneggiare gli altri, dalla falsità, dal furto, dall’incontinenza e dall’avidità”.

Scopriamoli più nel dettaglio, uno per uno:

1. AHIṂSĀ – non violenza

“Quando un uomo si astiene costantemente dal nuocere agli altri, allora tutte le creature viventi cesseranno di sentire inimicizia in sua presenza” – Patanjali, Yoga Sutra II, 35 –

Non violenza certo, intesa anche come fondamentale rispetto: verso se stessi, verso il proprio corpo e verso il mondo esterno. Praticare ahiṃsā sul tappetino e nella vita ci insegna quindi a saper ascoltare il nostro corpo, ad esempio, e a rispettare i suoi limiti e le sue difficoltà.

Ahiṃsā è quel principio che ci permette di vivere lo yoga senza pretendere di essere dei contorsionisti, ma creando una profonda comprensione e accettazione per i nostri limiti, senza forzare le posizioni.

È anche però rispetto verso le idee (nostre e altrui) e sentimenti, verso animali, piante, persone: rispetto per tutti gli esseri viventi.

 

2. SATYA – verità

“Quando un uomo si astiene costantemente dalla falsità, egli acquisisce il potere di ottenere per lui e per gli altri i frutti delle buone azioni, senza dover compiere le azioni stesse” – Patanjali, Yoga Sutra II, 36 –

Con satya si intende la sincerità, anche in questo caso verso se stessi e verso gli altri; una “retta comunicazione”, come la definisce Desikachar, da esercitare attraverso la parola e le azioni.

La capacità quindi di essere onesti con noi stessi, prima ancora che con gli altri: di vedere con obiettività i limiti e le necessità specifiche del corpo, nella vita e durante la pratica delle posizioni yoga; capacità di saper vedere la verità che è dentro di noi, osservandola, accettandola e restando quindi integri, fedeli a noi stessi e corretti con gli altri.

 

3. ASTEYA – astensione dal furto, onestà

“Quando un uomo si astiene costantemente dal furto, gli giunge ogni ricchezza” – Patanjali, Yoga Sutra II, 37 –

Parola sanscrita costruita da a- privativo e dal sostantivo “steya”, furto, da intendere non soltanto come “astensione dal furto”, ma anche come “liberazione dall’avidità, onestà”, propensione alla condivisione e alla generosità.

Nel cammino morale aperto da ahiṃsā (non violenza) e satya (sincerità), questo terzo yama vede lo yogi pronto, nel rispetto e nella piena sincerità, alla onesta apertura e condivisione.

 

4. BRAHMACARYA – moderazione

“Quando un uomo si astiene costantemente dall’incontinenza, ottiene energia spirituale” – Patanjali, Yoga Sutra II, 38 –

Brahmacharya è solitamente interpretato come continenza dell’energia sessuale. In senso più ampio, può intendersi tuttavia nel significato di moderazione, in tutti gli aspetti della vita.

Anche in questo caso, nella pratica come nella quotidianità della vita, lo yoga ci porta a domandarci con onestà se non stiamo eccedendo, se non ci stiamo allontanando dalla moderazione e praticando dunque una forzatura rispetto alle nostre necessità e alle nostre possibilità.

 

5. APARIGRAHA – liberazione dal desiderio di possedere oltre le proprie necessità

“Quando un uomo si astiene costantemente dall’avidità, ottiene conoscenza delle sue esistenze passate, presenti e future” – Patanjali, Yoga Sutra II, 39 –

Ultimo degli yama è la mancanza di ingordigia e di attaccamento: il non desiderare oltre le nostre necessità, non coltivare desideri smodati e dipendere da essi. Letteralmente, aparigraha significa “non afferrare”: dunque, come anche per gli altri yama, non è solo da intendersi in senso materiale come non attaccamento nei confronti del mondo esterno, ma anche nei confronti di noi stessi e delle nostre azioni, pensieri, desideri: un non attaccamento che è anche una sorta di “lasciare andare”, distacco ed equanimità.

 

Come esercitare i 5 yama e portarli nella nostra vita?

Nella nostra routine quotidiana quindi, possiamo sperimentare i 5 yama:

  • Nel coltivare la non violenza, avendo rispetto verso tutte le creature.
  • Nel mostrare onestà e sincerità nei pensieri e nelle azioni, restando fedeli a noi stessi e comportandoci in onestamente con gli altri.
  • Nel non maturare invidie e nel non sottrarre nulla a chi ci è intorno, ma anzi coltivando la generosità e la condivisione.
  • Nel restare equilibrati nella moderazione.
  • Nel non maturare attaccamento e dipendenza nei confronti del mondo esterno e dei risultati delle nostre azioni, recuperando la nostra libertà.

Allo stesso modo, possiamo vivere i principi morali dello yoga anche sul tappetino.

Questi principi etici, strettamente legati l’uno all’altro, sono infatti direttamente sperimentabili nella vita di ogni giorno nel nostro Centro yoga, nei rapporti con i compagni di pratica e con il maestro, nell’esecuzione di ogni singolo asana.

Pratichiamo ad esempio ahiṃsā nel non forzare le posizioni, nel mantenere l’equilibrio del corpo e nel rispettare i limiti del fisico; sul tappetino mettiamo in atto l’ascolto profondo della verità (satya) espressa dal nostro corpo, e restiamo onesti e fedeli a noi stessi e a quello che siamo (asteya), senza eccedere (brahmacharya) e senza diventare dipendenti (aparigraha) dall’estetica del risultato, da un asana da equilibristi o da acrobati.

Albero rami dello yoga

Nel nostro Centro i principi morali dello yoga rivestono dunque un’importanza fondamentale, e vi dedichiamo approfondimenti particolari, trattando settimana dopo settimana ciascuno dei 5 yama e poi dei 5 niyama, e proponendoci di sperimentarne la pratica tanto sul tappetino che nella vita quotidiana.

Cerchiamo dunque di vivere lo yoga nella sua intera bellezza, per un cammino davvero profondo, alla scoperta del nostro vero Sé: non solo asana, dunque, ma assieme ad essi, integrata nella vita di ogni giorno, una disciplina morale che ci sia d’aiuto nel tracciare il nostro percorso, e viaggiare lungo il cammino dello yoga.

Abbiamo parlato dei primi 5 principi dello yoga: gli yama. Ma quali sono invece i 5 niyama, con cui Patanjali prosegue nella definizione del secondo fra gli otto rami dello yoga?

Lo scopriremo nei prossimi post!


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